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Immagine del redattoreGabriele Clima

Qualche domanda su 'Mumi senza memoria'

intervista di Cristiana Clerici , La scatola del tè


Narrare richiede esperienza e, solitamente, ogni libro racconta qualcosa di chi lo scrive: come nasce Mumi Senza Memoria?

Mumi nasce proprio da un'esperienza personale, da un viaggio in treno, durante il quale una mamma seduta di fronte a me non fece altro che apostrofare suo figlio per tutto quello che aveva dimenticato a casa. Così nacque l’idea di Mumi, il Mumi smemorato, da un moto empatico: quel ragazzino mi assomigliava molto. Così Mumi assomiglia a me. Anch'io vivo in qualche modo in un mondo fatto a mia misura, amo perdermi, stare sotto al melo e inseguire quando posso il filo rosso dei miei pensieri.

Di Mumi, purtroppo, non ho quella naturale propensione all'equilibro che lo caratterizza così fortemente. Ma è abbastanza comune che un autore regali al suo personaggio ciò che nella vita reale non è facile conquistare.

Il Mumi personaggio, invece, trae la sua figura dalla fiaba popolare, dall'idiota, dallo scemo del villaggio, svantaggiato dalla natura e assistito dalla Provvidenza che interviene nel momento del bisogno. Nella fiaba di Mumi, alla Provvidenza si sostituisce la conquista di una coscienza comune e di beni societari più preziosi, la semplicità, la condivisione.


Nella storia di Mumi, così come ad esempio in "La Coda Canterina" anch'essa uscita recentemente, la storia e' ambientata in un villaggio. Da dove nasce, a tuo avviso, la fascinazione per la vita nelle piccole comunità? E quanto conta la nostalgia per uno stile di vita più semplice?

La semplicità è elemento fondante della fiaba di Mumi, e il villaggio o la piccola comunità vi rimandano direttamente. È più facile, del resto, creare un'empatia col piccolo lettore se il mondo che gli si offre è morbido e raccolto. Prima che un luogo fisico, il villaggio è un luogo del pensiero, al riparo dal resto del mondo, dalla frenesia, da ogni interferenza. I ritmi che scandiscono la vita quotidiana sono quelli dell'alba e del tramonto, del sole, delle stagioni. Il villaggio richiama in modo diretto e naturale l'infantile che è in noi, la nostra parte più intima e segreta. Oltre alla favolistica popolare in cui, anche per ragioni storiche, il villaggio è quasi una costante, mi vengono in mente alcune storie di Max Bolliger o di Jean Giono. Il villaggio è il modo più autentico e garbato di raccontare una storia.


In questo albo si incontrano temi importanti come l'invidia, la diffidenza, il consumismo più sfrenato, la solitudine: quanto pesano questi limiti nel quotidiano di ognuno di noi?

Con i limiti, nostri o altrui, ci scontriamo continuamente. La vita quotidiana, specialmente nelle grandi città, ci trascina in un gorgo di interessi e convenienze, tanto spesso che ormai non ce ne accorgiamo quasi più. Ma nessuna legge di natura stabilisce che dev’essere così. Ciò che Mumi ci suggerisce è che a tutti è offerta la possibilità di non cadere in questa trappola. Che lo scherniscano o gli rubino le scarpe, Mumi resta Mumi, indipendentemente da ciò che accade intorno. Non certo perché sia più stupido o più saggio degli altri, semplicemente perché gode ogni giorno di quello che la vita gli offre, l’orto, la capra, le persone che lo circondano. I limiti, propri e altrui, non lo riguardano. In questo modo, l’alterità diventa un dono, e così la relazione.


Mumi e' un bambino che vive in modo totalmente trasparente, con quell'attitudine tipica degli animali che Wolf Elbruch definisce: "that's the way we are approach", sembra non avere difese verso il prossimo...

È verissimo, non ne ha. Ma non è un caso. A Mumi, come ai personaggi di Erlbruch, non occorrono difese. Per loro il mondo esterno non è qualcosa da cui proteggersi, come invece accade spesso a noi, perché nulla di esterno può corrompere la schietta semplicità del loro mondo interiore. Se leggiamo L’oca, la morte e il tulipano, per esempio, ci accorgiamo che, dopo un primo momento di sorpresa e apprensione, l’oca non modifica nulla delle sue quotidiane abitudini, all’arrivo della morte. Che la morte sia lì - e sia lì per lei - si inscrive in un quadro perfettamente naturale, è la vita, è la nostra vita. Questa non è saggezza o perfezione, è semplicità. È molto diverso.


Pensi che Mumi potrebbe sopravvivere in una grande città?

Penso di sì. Io, come dicevo, ho utilizzato il villaggio per comodità, perché, da autore per l'infanzia, cerco il modo più diretto per stabilire una comunicazione. Ma il mondo di Mumi è un mondo universale. Le sue modalità di relazione funzionano dovunque (cosa che in fondo è il messaggio del libro), città o villaggio che sia. Mumi vivrebbe ovunque alla stessa maniera.

Più difficile è per noi, gente di città, riuscire a vivere alla maniera di Mumi. Noi abbiamo molto da perdere, la nostra modernità, le nostre conquiste intellettuali. Spesso, purtroppo, identifichiamo la modernità col nostro tempo, io stesso, tutti quanti, è un errore in cui si cade facilmente. Ma la modernità è un'altra cosa: è riuscire a recuperare il Mumi che è in noi senza perdere necessariamente la tv via cavo.


Mumi è un bamino che, almeno all'inizio del libro, vive ai margini della società: deriso e derubato dai compaesani, alla fine vince per la sua onestà e per il buon cuore. Credi che la gente sia ancora disposta ad imparare dai più semplici?

Credo di sì, è il motivo per cui continuo a scrivere. Si dice che i figli siano migliori dei padri. Forse i nostri figli sapranno meglio di noi riconoscere il valore della semplicità. Confido nei libri, nell’esempio e in tutti i Santi del Paradiso.


Il filo rosso che Mumi si lega alla caviglia, è lo stesso filo cui è legata la vita di tutti noi?

Il filo, nella storia, è ciò che lega Mumi al mondo reale e gli permette di non perdere i suoi riferimenti quotidiani, i luoghi, la casa, la via. Se anche noi, come Mumi, potessimo restare legati al nostro mondo interiore, forse non perderemmo la strada così spesso.

Da artista sensibile qual'è, Chiara Carrer ha intuito la grande importanza di questo legame. Il filo rosso appare fin dal frontespizio, si inserisce subito nella vicenda, in modo fisico e tangibile, quasi a diventarne una chiave interpretativa.

A questo proposito mi viene in mente C’è un filo, uscito da poco con San Paolo, una bella storia di Manuela Monari in cui, in una più mirata metafora cristiana, è proprio un filo a dare il senso e il cardine all’intera storia.


Quanto può contare, per bambini e adulti, riuscire a vivere svincolandosi dalle convenzioni?

Noi viviamo nelle convenzioni, la società è una convenzione. Ma non la vedo come una cosa negativa. Di per sé le convenzioni sono un'opportunità, un modo per costruire pensieri e modalità che possano essere comuni. È quello che sta alla base di qualunque società. Se ci pensiamo, sono proprio le convenzioni a permetterci di sperimentare ogni giorno il nostro grado di civiltà. Del resto anche il regno animale si fonda sulle convenzioni; non esiste individuo, all'interno di un branco o di una famiglia, che possa prescinderne o farne a meno. Quasi che la convenzione sia una legge di natura, che permette l'aggregazione e dunque la sopravvivenza della specie.

Tornando alla storia, neanche Mumi prescinde dalle convenzioni. Non ne è schiavo ma nemmeno cerca di svincolarsene. Come nei libri di Erlbruch, le abita, semplicemente, bilanciando esigenze e necessità con invidiabile naturalezza. È la forza della semplicità.


Le illustrazioni di Chiara Carrer accompagnano il testo con forza, ne sottolineano attentamente i momenti più poetici e drammatici, come è nata la vostra collaborazione per questo progetto?

Ho sempre ammirato il lavoro di Chiara Carrer, in special modo la sua capacità interpretativa, l'occhio con cui osserva le pieghe della realtà e le riporta sulla pagina. Chiara è un'interprete, non è semplicemente un'illustratrice. Il suo è un disegno ricco di echi e trasparenze ma schietto e autentico, che dice pane al pane. Chiara ha la capacità di illustrare una storia facendone emergere i silenzi, i sottotesti, con un segno che la forma non riesce a costringere e a cui il lettore può assegnare il proprio codice emotivo, qualunque esso sia. È una dote rarissima.


Quanto conta, in un libro, raccontare la storia in tutta onestà e serietà?

Credo che un libro sia sempre onesto. Racconta molto, come hai detto, di chi lo scrive, perciò, che sia realtà o finzione, racconta comunque cose vere. Allo stesso modo, un libro è una cosa seria, non solo quando spinge alla riflessione, ma anche quando offra semplice intrattenimento. Dietro a un libro c'è un'anima, e un'anima è sempre una cosa seria.

C'è poi, in qualunque testo, una grandissima componente di finzione, o di simulazione se si preferisce. La stessa, più o meno, che c'è nella recitazione; l'autore è molto simile all'attore. È un elemento imprescindibile in processo di scrittura e personalmente è uno degli aspetti più affascinanti di questo lavoro. In un libro è possibile indossare una maschera (di solito più d’una) dietro al paravento perfetto e infrangibile dell’invenzione letteraria. È meraviglioso. La stessa cosa, nel mondo reale, la chiameremmo ipocrisia.


Che ruolo gioca il testo in un libro per bambini?

Dipende. Al di là dei libri a scopo didattico, il cui fine è insegnare e chiarificare, il testo è uno strumento espressivo al pari dell'immagine. Il valore di un libro per bambini sta nella sua capacità di raccontare e dunque testo e immagini sono da usarsi esclusivamente in funzione dell’obiettivo comune. Un libro, in fondo, è un sistema di vasi comunicanti, in cui il rapporto fra testo e immagini esiste solo nell'ambito di un mutuo scambio. Ci sono storie che rinunciano completamente al testo ma non per questo perdono di efficacia. Penso al recente Migrando di Mariana Chiesa, pubblicato da Orecchio Acerbo, in cui la storia è lasciata interamente alle immagini. Il testo manca, ma il racconto è inequivocabile, perché l’immagine riversa nella pagina tutto ciò che serve per comprendere la storia. Il testo è presenza invisibile, è un testo immaginato, narrato sottovoce. Questo dimostra come una storia abbia tanti modi per essere raccontata e non sempre il testo è il narratore più adatto.

Ancora Erlbruch, che non rinuncia a narrare usando le parole, ci mostra però molto bene questo rapporto di dipendenza. E' difficile dire, leggendo i suoi libri, da cosa nasca, fra testo o immagine, la poetica così peculiare dei suoi personaggi.

La realtà è che un libro per bambini ha un linguaggio tutto suo, che non è né quello dell’immagine, né quello della parola. È unione di idee e percezioni e, per questo, mi pare assomigli moltissimo a quello del pensiero.



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