Liber, la rivoluzione gentile - 'Black boys' di Gabriele Clima
tratto dalla rivista Liber N.132
Tutto parte dalla foto che Alex vede su Instragram dell’uomo che ritiene colpevole dell’incidente in cui è morto suo padre e dai commenti sottostanti che incitano all’odio. Si può dire che Black Boys è anche un libro sulla facilità con cui spesso si scatena la caccia all’uomo?
Black boys libro su tante cose, sicuramente la caccia all’uomo è il fulcro centrale della vicenda. Purtroppo è molto facile cadere in questa trappola, tutti noi, a un certo punto, in una data situazione, siamo più propensi a una caccia all’uomo piuttosto che a una analisi intelligente delle cause e delle condizioni che portano a un evento; non parlo ovviamente di una caccia all’uomo fisica, reale, ma di quella tendenza ad incolpare qualcun altro per scaricarci di dosso la nostra parte di responsabilità; è chiaro che Alex non è responsabile per l’incidente che ha causato la morte di suo padre, ma è responsabile delle sue scelte, e lo scegliere la via più facile, cioè la caccia all’uomo, è ai suoi occhi giustificato da quello che gli è successo. Il problema dei social, a cui fa riferimento lei, è reale, e si vede come molto spesso i commenti a un post o a un tweet scatenino una reazione che alla fine prescinde completamente dalla realtà dei fatti e procede sull’onda degli istinti, che hanno sempre bisogno di un colpevole per essere appagati. È un gioco molto facile, ripeto, in cui molti di noi cadono anche senza accorgersene.
Cosa può salvare un ragazzo come Alex dal cadere nella rete della violenza e cosa distingue Alex da Teo, il suo amico, che gli fa conoscere i Black boys?
Credo che solo il dialogo possa preservare un ragazzo da una via di questo genere (ma non solo un ragazzo, questo è un problema molto adulto, se ci pensiamo bene). Il dialogo che però non deve essere inteso come elargizione di consigli, ma come ascolto (dialogo più efficace è quello che non parla ma ascolta). Se abbiamo qualcuno accanto a noi capace di ascoltare, ascoltare veramente, cioè fare uno spazio dentro di sé che possa accoglierci, non per consigliarci, ma per essere semplicemente lì con noi, be’, credo sia più facile accorgersi della follia di un cammino d’odio, perché la parola che si instaura in quello spazio di per sé già scaccia il ‘gesto’, cioè il gesto violento, dove c’è parola non c’è ‘gesto’, dove c’è dialogo e ascolto non c’è violenza. E questa è la grande differenza fra Alex e Teo, Alex è ragazzo capace di ascolto e di parola, laddove Teo è totalmente gesto, incapace sia di ascolto sia di parola. Anche se To, in fondo, non è un cattivo ragazzo, a differenza di Ferenc, che invece sceglie consapevolmente la violenza e la manipolazione. Io credo che quanto Teo uscirà dall’ospedale sarà già una persona diversa.
Ferenc, il capo dei Black Boys, alterna minacce a modi seduttivi, è un manipolatore di coscienze molto consapevole dei suoi mezzi tanto che suggerisce ad Alex di “dopare” i testi che scrive per lui, di gonfiare i numeri, di falsare i fatti. Come ha costruito questa figura?
Be’, ho studiato innanzitutto le dinamiche del branco, approfondendo proprio i gruppi violenti, orientati politicamente o meno, che hanno sempre un leader in grado di accogliere e blandire, da una parte, accogliere la rabbia delle persone, e dall’altra di manipolarle trasformandole in strumenti a vantaggio della propria ideologia. Le minacce, fino alla violenza, fanno parte integrante di un leader di questo genere, perché dove la lusinga viene meno deve subentrare la forza bruta, l’unica altra arma in grado di tenere soggiogate le persone. E poi ho studiato la comunicazione manipolatoria, quella che usa gli slogan per muovere la pancia delle persone, la comunicazione politica, per ‘dopare’ un uditorio e cavalcare la sua rabbia. Ferenc in questo è il leader ideale, perché assomma in sé le due principali caratteristiche su cui si basa la comunicazione violenta: muovere la rabbia e offrire un colpevole, e il gioco è fatto. Ne abbiamo in abbondanza di esempi così, in politica soprattutto.
Quali sono state le reazioni dei ragazzi di fronte a questa lettura?
I ragazzi sono molto colpiti dalla storia, in particolare da alcuni aspetti: il pensiero violento dei Black boys, per esempio, dei Black boys non capiscono la violenza, gratuita, incontrollata, non capiscono come si faccia ad arrivare a un pensiero così, e proprio per questo, a mio avviso, queste storie vanno raccontate, perché fanno parte della vita quotidiana eppure restano fuori dai nostri discorsi, da quello di cui si parla a scuola, o in famiglia, sono poche le famiglie che commentano insieme ai ragazzi le notizie dei giornali, ma sono cose che vanno conosciute altrimenti non si sa come affrontarle; poi restano colpiti da Teo, dalla sua superficialità, dal fatto che non si faccia domande, che segua i Black boys quasi come una marionetta, e anche su questo personaggio, quando incontro le classi nelle scuole, emergono da loro moltissimi spunti di riflessione che si articolano in domande e questioni anche profondissime, assolutamente esistenziali; e poi li colpisce molto la figura di Moussa Mbaye, la sua ‘dignità’ nel dolore, a differenza di Alex, il suo accettare le cose per come capitano perché non c’è niente da fare, il che non è - e questo lo capiscono immediatamente - passività o remissività, ma consapevolezza: Moussa Mbaye sa che a determinare la nostra vita non è quello che ci accade ma come noi decidiamo di reagire. E questo spiazza completamente Alex, e spiazza moltissimo anche i ragazzi, che in Moussa Mbaye vedono una possibilità, un modo possibile di accettare quello che apparentemente è totalmente inaccettabile. Certo, un libro non è una bacchetta magica, ma può aprire finestre di riflessione inaspettate. Addirittura in un liceo in provincia di Bari, il dialogo fra Alex e Moussa Mbaye è stato paragonato al dialogo fra Achille e Priamo nell’Iliade, in quella condivisione dei rispettivi dolori che apre uno squarcio di umanità profondissima. E questo è il motivo per cui mi piace parlare coi ragazzi, perché sono capaci di riflessioni a volte stupefacenti. Si dice che gli adolescenti siano apatici e svogliati, be’, la mia esperienza dice il contrario, la maggior parte sono attivissimi e hanno voglia di capire e di partecipare. Dico sempre che l’adolescenza è un prisma che insieme raccoglie e divide la luce, perché è esattamente quello che fa, raccoglie la realtà per elaborarla in sfide, strade, possibilità. L’adolescenza è un enorme e naturale elaboratore della realtà, sta a noi adulti sfruttare questa propensione spontanea alla riflessione che è tipica dei ragazzi e alimentarla con gli stimoli giusti.
Federica Velonà, ottobre 2021
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