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Immagine del redattoreGabriele Clima

«Il libro è qualcuno che ascolta». Liber, intervista a Gabriele Clima

Nel romanzo Il sole tra le dita Gabriele Clima racconta la storia di Andy e Dario, due ragazzi profondamente diversi che diventano complici e grazie alla loro amicizia speciale si ritroveranno entrambi ad avere nuove ali per volare in alto.


Con Il sole fra le dita lei è riuscito a intrecciare una storia emozionante e profonda con un lavoro di ricerca e approfondimento, basato anche su riferimenti a persone incontrate e conosciute realmente: come è riuscito a mantenere un equilibrio tra questi aspetti diversi all'interno della cornice letteraria? Non so se gli aspetti che lei ha citato, cioè la narrazione, le persone, la ricerca, l’approfondimento, siano poi tanto diversi fra loro. Quel che faccio quando affronto un nuovo libro è aprire una finestra su una parte di mondo che, in quel momento, mi colpisce, e di solito è qualcosa di molto articolato. Che parta da un incontro (com’è stato quello con Andy e con Fabiola), da un articolo letto su un giornale, da uno stralcio di conversazione o da un episodio vissuto personalmente, è un piccolo universo formato da tantissimi elementi che si attraggono fra loro. All’interno c’è il nucleo della storia, attorno a cui comincia a orbitare la materia narrativa. Se uno ci pensa, è esattamente quello che succede nella vita di ogni giorno: eventi casuali che si addensano lungo un’intenzione che diventa strada.

Nel suo romanzo ci sono temi forti, trattati senza moralismi: oltre alla disabilità ci sono i pregiudizi, le etichette che feriscono, l'apatia e il senso di vuoto in cui si può precipitare quando gli adulti deludono. Forse sono proprio gli adulti, più dei ragazzi, ad aver paura di affrontare questi temi, anche attraverso le storie? Ha detto bene, sono gli adulti, più dei ragazzi, a voler evitare certi argomenti, a volte per ignoranza, a volte per abitudine (ricordiamoci che ai nostri tempi noi ragazzi eravamo tenuti a una certa distanza dalle “faccende dei grandi”), a volte per un dichiarato desiderio di salvarli da tematiche troppo forti per loro. La realtà è che, lo vogliamo o no, oggi i ragazzi si scontrano ogni giorno con i temi forti; pensiamo solo a quello che social e tv riversano a getto continuo nelle nostre case. Affrontare con i ragazzi certi temi, specialmente attraverso la letteratura loro dedicata, vuol dire armarli contro questi attacchi; e contro tutti quei tabù, moralismi ed etichette che ha menzionato lei. Più giro nelle scuole, più vedo nei ragazzi la voglia di partecipare al proprio tempo. È questo che i ragazzi chiedono oggi ai libri: partecipazione agli scenari che abitano ogni giorno.

Lei incontra spesso i ragazzi nelle scuole: quali sono i temi che li colpiscono maggiormente? Come reagiscono quando si parla loro di disabilità e pregiudizi? Di certo i temi forti colpiscono molto i ragazzi. Un po’ perché non se ne parla mai abbastanza, e questo genera una – sana – curiosità che esige di essere soddisfatta, un po’ perché sono i temi nei quali riconoscono la propria società e dunque se stessi. L’empatia, l’immedesimazione, è il motore che fa marciare una narrazione; se il lettore non è coinvolto in un moto empatico, la narrazione cade. Nel caso di questo libro, sono molti i ragazzi che si sono riconosciuti in Dario o in Andy; addirittura, in un liceo di Cuneo l’anno scorso, alcuni dei ragazzi più agitati e turbolenti si sono immedesimati in Andy, il disabile, non in Dario il ribelle. E questo la dice lunga sul potere che la narrazione ha di far emergere, anche in uno spirito ribelle, quelle piccole e preziosissime fragilità su cui di fatto si costruisce la condivisione. Per quanto riguarda i pregiudizi, non ne ho mai trovati molti, nei ragazzi. Penso che il pregiudizio, prima che un atto di volontà, sia il risultato di un’abitudine: il pregiudizio è comodo, è già pronto, è un prodotto preconfezionato che ti permette di avere un’opinione senza neanche dover pensare. I ragazzi di oggi invece pensano, eccome se pensano, e hanno voglia di capire, di dialogare, di mettersi in gioco.

Dario e Andy, i protagonisti del libro, diventano pian piano complici, in un’amicizia basata sull’ascolto reciproco, ma anche su silenzi eloquenti e pensieri detti ad alta voce: i giovani lettori hanno bisogno di ritrovare nelle pagine le difficoltà e le fatiche che affrontano quotidianamente, anche dal punto di vista della comunicazione? I giovani lettori, come i grandi del resto, hanno bisogno di ritrovare proprio quei silenzi e quell’ascolto, quei pensieri formulati a mezz’anima che sono la loro dimensione e che, in un libro, assumono forma universale. Una storia muove corde profondissime, anche nei ragazzi che ci sembrano tutt’altro che sensibili. E riconoscere nel personaggio di una storia il dolore, la fatica, il disagio, la difficoltà, la morte perfino, che accompagnano quotidianamente la vita dei ragazzi come quella di noi adulti, significa far risuonare qualcosa che è già dentro di loro e aspetta solo il momento di essere ascoltato. Credo che sia questo un libro, innanzitutto: non qualcuno che narra, ma qualcuno che ascolta.

Fabiola Beretta, autrice della postfazione del romanzo, è presidente di Athla, l'associazione che si occupa del tempo libero per l'integrazione dei disabili: cosa pensa del loro lavoro? Ci sono aspetti che hanno influito in modo particolare sulle caratterizzazioni dei personaggi e della storia? Tutte le persone che lavorano all’Atlha fanno un lavoro davvero straordinario. Che se, come dice lei, ha come obiettivo l’integrazione, lavora però prima ancora sulla consapevolezza di sé. Parla sempre, Fabiola, di spostare il limite, quello che noi stessi ci poniamo ogni giorno in relazione a una nostra, grave o meno grave, incapacità. Quando Fabiola ha cominciato a parlarmi di Andrea e a raccontarmi il suo mondo e la sua storia, mi sono accorto che questo, prima che l’integrazione, era il suo lavoro: spostare il limite. E in questo modo dare ali per volare in alto. Il personaggio di Andy è interamente costruito su ciò che di lui Fabiola mi ha detto e raccontato, sulle foto, sui filmati, sulle sue attività quotidiane, sui suoi capricci, sui suoi sogni, sulle sue paure, sulle sue fragilità, sulla sua straordinaria vitalità che ha finito per permeare non solo il suo personaggio, ma l’intero libro. E questo è buffo se ci penso: attraverso Andrea, Fabiola è riuscita a dare ali anche alla mia storia. Ed è una cosa che ai lettori passa.


(da LiBeR N.116)


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