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Immagine del redattoreGabriele Clima

Karin Alberti, Readiamo «Black Boys»

15 febbraio 2020


A volte mi chiedo perché i libri "per ragazzi" siano definiti così. Credo sia limitante, che noi “grandi”, a volte, ci perdiamo dei capolavori, perché magari giriamo solo tra gli scaffali del settore adulti quando entriamo in una libreria e non chiediamo consigli. Definirlo un peccato non rende l’idea. Perché ci sono romanzi che dovrebbero godersi tutti.

Non è la prima volta che Gabriele ci accompagna tra le pagine di una storia che meriterebbe di essere letta da tutti. Lo aveva già fatto con “La stanza del lupo”, libro profondo, che ti entra dentro, che avrei tanto voluto recensire, ma nonostante glielo avessi promesso, non ho trovato le parole.

E anche questa volta fatico a trovarle, le parole giuste. Perché “Black boys” è un romanzo per cui ci vorrebbero delle parole speciali, che io non credo di avere. L’ho letto tutto d’un fiato. Perché mica riesci a fermarti. E vai avanti, fino a notte fonda perché ti coinvolge, ti ferisce, a tratti ti fa rabbia, ti commuove, ma soprattutto ti sorprende.

C’è tutto in questo romanzo: musica, canti a squarciagola, sorrisi, occhi bassi, morte, rabbia, odio, vergogna, dolore, razzismo, amore, amicizia, solidarietà, paura dell’altro, ricerca e accettazione del sé. Il tutto non necessariamente in questo ordine. Perché nella vita mettere ordine è faticoso e, a volte, quando ci si mettono paura e rabbia, lo è ancora di più.

Non posso far altro che consigliarvelo, perché altre parole non le trovo. Uffa.

“Uffa non è una parola” (cit. da “Black boys” di Gabriele Clima - Feltrinelli)

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