Guarda le stelle. Sergio Rossi dialoga con Gabriele Clima
Come si può raccontare il prima il dopo dell’evento adottivo a un bambino o a degli aspiranti genitori? Per questo nel 2016 è nato Guarda le stelle, scritto da Gabriele Clima e illustrato da Pia Valentinis e Mario Onnis, in collaborazione con l’associazione Italia Adozioni. In occasione della nuova edizione di questo libro, abbiamo realizzato questo speciale nel quale abbiamo intervistato gli autori e l’associazione Italia Adozioni sulla genesi di questo racconto e sull’accoglienza che ha ricevuto.
Come è nato Guarda le stelle?
Si può dire dal caso, o meglio, da un orsetto di pezza visto nella vetrina di un mercatino dell’usato. Orsetto a cui, proprio come nella storia, mancava una zampa. Credo di aver visto in quella zampa un affetto negato, più che una menomazione, e su questa suggestione ho cominciato a lavorare. Poi è arrivata Italia Adozioni e insieme abbiamo “tarato” la vicenda su quelle che effettivamente sono le tappe emotive del percorso di un bambino adottato. È stato un lavoro molto accurato, che la collaborazione ha reso prezioso. Si è in pratica cercata una storia – una storia vera – a cui quella zampa poteva rimandare.
Sei uno scrittore molto attento alle tematiche sociali: qual è il tuo approccio a queste storie?
In realtà cerco di non pensare affatto alla tematica quando scrivo. Quello che mi colpisce di una storia e che mi spinge a darle corpo è la sua forza narrativa, è quel nucleo luminoso e pulsante nascosto dentro alla vicenda, o nel suo personaggio principale. Se fosse la tematica, correrei il rischio di scrivere qualcosa il cui centro non è la storia in sé, ma qualcos’altro, qualcosa “che rimanda a” o peggio ancora “che è scritto per”. E questo farebbe male, alla storia, al lettore e anche a me come scrittore. Poi è inevitabile che una storia ruoti intorno a una tematica specifica (o anche a più di una), ma dev’essere qualcosa che viene dopo, come conseguenza.
Giri molto per le scuole: quali sono le reazioni di bambini e ragazzi a queste storie?Personalmente non ho ancora incontrato un ragazzo, dalle elementari alle superiori, che non resti affascinato da queste storie. Perché sono storie che risuonano nel loro vissuto quotidiano. È la potenza delle storie vere, delle storie piccole, delle storie a cui non servono fuochi artificiali per coinvolgere il lettore, perché parlano il linguaggio della quotidianità. Da convincere semmai sono i genitori, che spesso considerano certi temi – la guerra, la perdita, il disagio – troppo forti per i ragazzi, senza accorgersi che in questi temi i ragazzi sono già immersi, basta accendere un qualsiasi canale tv. Un libro può dotare i nostri figli dei corretti strumenti di comprensione della realtà, e fungere perciò da contraerea contro quello che i media riversano ogni giorno su di loro.
Immaginiamo che tu voglia raccontare la storia di un bambino dopo che è stato adottato, magari il suo desiderio di sapere quale fossero la famiglia e i luoghi originari; useresti sempre Leon oppure sceglieresti di creare un altro personaggio?
Non saprei dirlo, in verità. Di solito lascio che sia la storia a catturare me, e non il contrario. Credo che un personaggio, almeno in linea di massima, abbia una sola storia da raccontare, una sola, densissima, un solo nucleo di energia – e uso quest’immagine dato che parlo con un fisico – che improvvisamente esplode creando quella supernova che è il libro. Perciò forse sì, credo che, se dovessi raccontare la storia di un bambino dopo l’adozione, andrei in cerca di un altro personaggio, di un altro nucleo di energia da accendere, come è stato con Leon, per trasformarlo in supernova.
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