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  • Immagine del redattoreGabriele Clima

Grazie, Emanuele



Emanuele, quarta elementare. Alza la mano, mentre parliamo di bullismo, di emarginazione, di diritti calpestati, di coraggio. Alza la mano e dice: «Il compagno di mia mamma la picchiava, e le urlava che era scema, e mia mamma voleva lasciarlo ma non ci riusciva. Poi un giorno che l’ho sentita gridare ancora mentre lui di nuovo la picchiava sono andato di là e ho gridato anch'io, che non ne potevo più. È finalmente è stato allontanato. E mentre Emanuele parla, e c'è silenzio intorno, e neanche le insegnanti osano dire nulla perché è la prima volta che Emanuele dice queste cose, io lo guardo, guardo Emanuele, per capire quanta forza gli serve in quel momento; ma non vedo rabbia in lui, né dolore, perché è un'altra l’urgenza che lo muove, è dirlo forte, a tutti, è condividere qualcosa che nessuno ancora ha mai sentito. Ecco, è in quel momento che ti accorgi che stai lavorando nella maniera giusta; che le cose che dici, le storie che scrivi, le cose che fai non servono a muovere rabbie o a estinguere un dolore, ma a aprire nuove strade. E mi viene voglia di abbracciare Emanuele, non per consolarlo, perché le sue parole già lo fanno, ma per ringraziarlo del regalo che ha voluto farci.

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