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Immagine del redattoreGabriele Clima

La logica del gregge

Daniela Carucci, Andersen: luglio 2020

L'ultimo libro che ho letto di Clima è stato Il sole fra le dita (Premio Andersen 2017), una storia di incontri inaspettati, di carrozzine motorizzate, di coraggio, di diversità e amicizia. E quando ci ripenso sorrido, mossa da una tenerezza sottile. Con Black boys non è stato così.

La storia è quella di un ragazzo, Alex, che un giorno si ritrova con una vita che non è più quella di prima. Un furgone si è scontrato con l'auto su cui viaggiavano lui e i suoi genitori, e da quel momento molte cose sono cambiate. Suo padre non c'è più, lui è vivo per miracolo e sua madre è piena di cicatrici. "Certe cose accadono, e in fondo non è colpa di nessuno", continua a dire lei a quel figlio sopravvissuto, ma lui non ci crede e vuole giustizia. Non può pensare che chi guidava quel furgone sia in giro a piede libero con la sua vita che va avanti come se niente fosse, e così si mette a cercare. Ma la città è grande, come la mappa che ha fra le mani: ha bisogno di aiuto, e lo trova. Ci sono certi ragazzi che quel Moussa Mbaye lo possono trovare, sono i Black boys, gente che "fa quello che nessuno ha il fegato di fare, ripulisce le strade dalla merda, cerca neri, zingari, immigrati. E gli fa capire che non sono i benvenuti".


Certo, per mettersi a caccia di quell'uomo vogliono qualcosa in cambio, ed è così che Alex entra nella banda, conosce Ferenc, il capo, e inizia a partecipare alle azioni del gruppo: va alla birreria dismessa e quasi uccide di botte un uomo, si introduce di notte in una scuola multietnica e distrugge tutto quello che trova, si intrufola in una manifestazione e aggredisce i partecipanti. Picchia, insulta, distrugge, fino a che capisce che non è così che voleva andassero le cose, fino a che non cerca di uscire dal gruppo. Ma non è facile, e le conseguenze di quella decisione non tardano ad arrivare.


I temi sono tanti dentro a questa storia che scorre fluida come un giorno vissuto intensamente: la rabbia che si trasforma in odio, la domanda incessante di come si fa a superare la perdita, la morte; la vita che a volte ci viene incontro con ciò che non vogliamo; la relazione fra genitori e figli; la responsabilità dell'individuo e il meccanismo del gruppo; l'ideologia fondata sulla presunta superiorità di qualcuno su qualcun altro e altro ancora.


Una storia raccontata con una lingua schietta, onesta, con un ritmo incalzante in cui trova spazio anche il soffermarsi sui fili invisibili che legano le persone, quelle che ci sono, e quelle che non ci sono più, e nelle pieghe delle relazioni. Clima ci porta laddove non avremmo mai pensato di trovarci, testimoni delle vite intorno a noi, non più estranei.


(Daniela Carucci)

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