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L'albero delle storie

L'albero delle storie

Sef ha dieci anni ed è africano. Vive in Italia ormai da qualche anno, ma ha nostalgia dei suoni e dei colori della sua terra. Decide allora di portare un pezzetto di Africa nel grigiore dei palazzi di periferia: sceglie un albero nel cortile e, come aveva fatto nonno Yulu prima di lui, vi si siede sotto e comincia a raccontare storie...



Forse sono le storie che Sef racconta, storie africane di uomini, di animali, di dei; forse è il modo in cui Sef racconta le sue storie, che sembra suscitare in chi ascolta sentimenti nuovi, fatto sta che in breve tempo Sef è il personaggio del quartiere. E di lì a poco, anche un giornale locale si interessa alle sue storie.

Forse perché anche Sef ha una storia, una storia sua, quella da cui proviene, e che risale ad anni prima, quando dall'Africa è dovuto scappare…

(…) Mamma ripone una ciotola nel pensile sopra il lavello. – Sei pensieroso. – Sì – dice Sef. – E a cosa pensi? – – Al nonno. – Al nonno? – – Te lo ricordi tu il nonno? – le chiede – Io sì, certo che me lo ricordo, ma tu come fai? Eri piccolissimo. – Mica poi tanto. – Avevi due anni, due e mezzo, forse, non puoi ricordartelo. – Due anni e mezzo non sono così pochi. – E cosa ricordi del nonno? – – Quando raccontava le storie. Sotto l’albero. Mamma guarda il suo Sef che stringe le mani sul ferro della balaustra. Somiglia tanto, quella balaustra, al corrimano della nave che li ha portati lì. – Ti manca ogni tanto? – chiede Sef. – Sì, ogni tanto. Anzi, molto spesso. – Era un narratore famoso? – Mamma esce sul ballatoio. – Eccome. Venivano tutti da noi a sentire le sue storie.

A Sef però non interessa essere famoso, lui vuole che la gente arrivi per le storie che racconta, non perché il suo nome corre sulla bocca di tutti. Ma Mina, più piccola, sveglia e propositiva, non è d'accordo, e diventa la sua infaticabile assistente; si occupa della comunicazione, degli spazi in cui Sef si siede a raccontare, di far accomodare le persone quando arrivano, in cerchio, come ogni storia che si rispetti esige che si faccia.

Nel frattempo, anche Kevin comincia a interessarsi a Sef. Gli piacciono le sue storie, e gli piace anche Sef, così diverso da lui, così piccolo ma già così solido. Lui che solido invece non lo è affatto. Forse è anche per la compagnia che frequenta, ragazzotti poco raccomandabili fra cui spicca un biondino che lo ha appena coinvolto in una stupidaggine colossale.

(…) Quella notte, Kevin non è rientrato a casa. Ha nello stomaco un dolore costante, un mostro deforme che ringhia e si agita, e che morde, famelico, appena si muove. Poteva tornare in città a dar noia ai più piccoli, o a imbrattare case e portoni con le bombolette spray, insomma a fare le cose che fa ogni volta che qualcosa va storto. E invece è rimasto lì, in quel furgone scassato che sta in fondo al viale, come un cane senza padrone. Ci ha passato la notte in quel rifugio antiatomico, e il giorno che si è levato. Quel giorno il caldo è stato infernale. Quasi una punizione per quanto è accaduto. Ma che colpa ne ha lui se quello stupido ha mandato tutto per aria? Non era questo che doveva succedere, è stato lui, sua la colpa, soltanto sua. E allora perché quel mostro deforme che gli addenta le viscere? Kevin esce dal suo nascondiglio. Guarda il viale che porta alle Torri. Di andare a casa non ne ha proprio voglia. Scavalca la rete che cinge il pratone e scende al cantiere, deserto, assolato.

Sarà Sef, e in particolare una storia (che Kevin ascolterà non visto), la più bella che Sef possa regalare all'amico, ad accendere la miccia che riporterà Kevin sulla via corretta; una storia che non ha una morale, né insegnamenti, ma ricalca, in modo incredibilmente preciso, le trasformazioni interiori che Kevin sta vivendo. In fondo è questo che serve, qualcuno che ascolti e che ci dia un'occasione, per raddrizzarci, per ricominciare, e guardare le cose da una prospettiva diversa.

(…) Sef si siede ai piedi dell’albero, con Mina al suo fianco. Anche Kevin si siede, in un angolo del balcone. E resta a guardare, la schiena appoggiata alla ringhiera di ferro, non visto, come sempre più spesso ormai desidera essere. – In un tempo lontano – comincia Sef – in una terra in cui i tamburi scandivano la vita degli uomini, c’era un lago esteso e profondo. Nei pressi del lago, dove un’ansa si allargava fra la vegetazione, c’era una gola. Da lì l’acqua scendeva verso pianura che si apriva più in basso, superava salti e dirupi e terminava dove tre massi, disposti a semicerchio, ne fermavano il corso. In quel punto l’acqua sprofondava nel terreno avvitandosi in un mulinello che risucchiava qualunque cosa vi cadesse, foglie, arbusti, rami spezzati. Proprio lì, dentro al gorgo, aveva dimora il guardiano del lago…

Romanzo, 187 pagine, età di lettura dai 9 anni
Tematiche: amicizia, multicultura, narrazione orale, tradizioni

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