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Immagine del redattoreGabriele Clima

Mara Mundi, Firufilandia «Io non ci sto. L'estate che divenni partigiana»



Quando diciamo che occorre scegliersi la parte, il pensiero di noi adulti va all’8 settembre 1943, all’armistizio di Badoglio, alla Resistenza contro il nazifascismo.

Io non ci sto! L’estate che divenni partigiana di Gabriele Clima, collana Oscar Primi Junior della Mondadori, viene a dirci, anche e forse soprattutto a noi adulti, che la parte dobbiamo, possiamo,

scegliercela ogni giorno: tutte le volte che all’abitudine, al “così va il mondo”, decidiamo di ribellarci, di fare la cosa giusta, di non confonderci nella massa.

Un’abitudine [...] è una strada in cui ti infili senza rendertene conto, e che segui perché ormai l’hai imboccata. Ma non l’hai deciso tu, è lei che ti ha guidato, e adesso ti governa e ti impedisce di farti domande. Ti frega, l’abitudine.

Giulia, voce narrante della storia, è una ragazzina che vuole dirlo che lei non ci sta, che vuole fare qualcosa per cambiare quell’andazzo, che vuole sottrarsi all’abitudine, diffusa in paese, di prendere in giro Testa-de-mul, un ragazzo con disabilità cognitive, un berretto rosso calcato sulla testa, un barattolo di vetro pieno di mosche, portato in giro come un trofeo.

Giulia è tornata dopo due anni a trovare il nonno a Casaverde: la chiama così quella casetta in collina, in un posto che non ci viene detto, ma che profuma di Piemonte.

Lì ci abita il nonno, che scandisce le sue giornate prendendosi cura del giardino, con una zappetta in mano, o preparando la zuppa di ceci, secondo la ricetta della nonna, che ormai non c’è più.


È una storia di educazione al contrario, questa, e poi di educazione tra pari: all’inizio è Giulia a scuotere il nonno, che pure lui sembra rassegnato al fatto che certe cose vanno come vanno, che Testa- de-mul lo prendono in giro e nessuno ci fa più caso.

È la nipote a trarre fuori il nonno da quel torpore, a dirgli che così non è giusto: bisogna cambiarle le cose che non vanno.

E il nonno all’improvviso se lo ricorda Angelo, il suo compagno di scuola e di vita, ucciso dai fascisti a 13 anni, perché lui la camicia nera non l’aveva voluta indossare e perché a una parata in piazza aveva difeso un debole, e poi era finito all’ospedale gonfio di botte. Ma mica si era arreso, Angelo. Insieme al nonno aveva continuato la sua Resistenza: piccoli e mingherlini com’erano – il Ratto e il Sorcio li chiamavano – facevano saltare in aria ponti, strade, linee elettriche, per impedire l’avanzata dei tedeschi.

Solo che poi Angelo era stato trovato appeso ad un albero, sulla strada che porta verso valle. Aveva pagato con la vita i suoi no: al fascismo, alle prepotenze, a quel mondo che non gli piaceva.

Ed è a questo punto del racconto che il nonno restituisce alla nipote uno sguardo nuovo, dopo che lei gli aveva aperto gli occhi, risvegliandolo dal letargo in cui era caduto, un letargo che lo portava a considerare normale il fatto che Testa-de-mul fosse preso in giro. Così facendo, Giulia lo aveva riportato col pensiero agli anni della lotta partigiana.

A questo punto, ecco che il rapporto nonno-nipote diventa un rapporto tra pari, dove nessuno vuole insegnare niente a nessuno, ma s’impara insieme, semplicemente raccontando(si): il nonno glielo dice che anche lui, settant’anni prima ha ucciso, proprio come i tedeschi e i fascisti, anche se lui lo faceva per una causa giusta. Ma la violenza non è mai una cosa buona e le guerre non sai mai dove ti porteranno, pure se partono dalle migliori premesse.

È altissimo e toccante il momento in cui la foto di Angelo viene lasciata sul tavolo, in cucina, nel cesto della frutta, in mezzo alle albicocche, come se il sacrificio di allora fosse impastato nel quotidiano di ora, come se Angelo avesse da dire qualcosa a Giulia e alla sua nuova resistenza, contro le cattiverie ai danni di un ragazzo indifeso e debole.

Ed è il nonno a prestare la voce ad Angelo, per dire a Giulia che la parte bisogna scegliersela, sì, ogni giorno, senza cadere però nei soliti errori:

[Angelo] è morto una seconda volta quando noi, noi partigiani, abbiamo ucciso i suoi assassini [...] Non fate che Angelo venga ucciso una terza volta. Non usate violenza contro la violenza.

Nella storia, ad un certo punto, compare anche Gramsci, con quella frase che mette i brividi ogni volta:

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani.

Giulia la legge per caso, non vi sveliamo come, così come non vi sveliamo la fine della storia, che merita di essere letta e riletta, perché non ha nulla di didascalico e moraleggiante, ma allo stesso tempo ci dà una grande lezione, attraverso una vicenda minima, simile a molte altre vicende che incrociamo ogni giorno: il collega isolato e messo da parte, la ragazzina timida presa in giro, il posto auto riservato ai disabili occupato, i saliscendi per le carrozzelle non accessibili, le barriere architettoniche, le insensibilità un tanto al chilo.


Ogni giorno possiamo sceglierla la parte, ogni giorno potremmo pensare al sacrificio di Angelo, immaginarcelo in cucina, mischiato alle albicocche, pronto a darci coraggio, a prendere la rincorsa, a dirlo questo no che ci rende migliori.


Che rompe le abitudini.


 

IO NON CI STO. L'ESTATE CHE DIVENNI PARTIGIANA Mondadori Anno di pubblicazione: 2017 142 pp. Prezzo di copertina: 10 euro

Età di lettura: dai 9 anni


 

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