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F. BORRI

Francesco Borri e l'erba fenice

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«La guida attese che Ben e Alibel si fossero allontanati e quindi riprese la sua spiegazione. – Dicevo: il viandante misterioso altri non era che l’alchimista Francesco Borri, noto medico e studioso che in passato... – Ma Ben e Alibel non ascoltavano più.»
(Alibel, La Malastriga, pag. 217)

Il ‘medico ciarlatano’, come veniva soprannominato, nato a Milano nel 1630, sviluppò la passione per l'arte 'spagirica' (da spào, estraggo, e agèiro, raccolgo), ovvero l'estrazione dell'anima dai metalli e la conseguente raccolta della loro componente aurea.

Trasferitosi a Roma, entrò in contatto con Cristina di Svezia, che risiedeva a Palazzo Riario (oggi Palazzo Corsini alla Lungara, sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei e della Galleria Nazionale di Arte Antica) e nutriva autentica passione per le arti alchemiche. Borri cominciò a frequentare il suo circolo, intorno a cui ruotavano personaggi illustri personaggi, l’astronomo Giovanni Cassini, l’alchimista Francesco Maria Santinelli, Athanasius Kircher, esperto di antiche dottrine egiziane e Massimiliano Savelli Palombara, marchese di Pietraforte (vedi nella sezione Personaggi storici).

Durante la pestilenza che colpì Roma nel 1656, si unì ai medici “chemiatri”, che curavano i malati con metodi alternativi alla medicina galenica tradizionale. Questa scelta gli causò non pochi nemici, tanto che dovette abbandonare la città e tornare a Milano. Anche qui, però, trovò ambiente ostile, e un'accusa di eresia che lo costrinse a lasciare Italia. Dopo un periodo a Innsbruck, Strasburgo, Amsterdam e Copenhagen (città dove ottenne notevoli successi), partì alla volta della Turchia, dove fu fermato, arrestato e condotto di nuovo in Italia, per morire infine, nel 1670, nelle prigioni di Castel Sant'Angelo.



Una cronaca del 1802 ad opera di Francesco Girolamo Cancellieri racconta che nell'estate del 1656 un pellegrino si fermò presso villa Palombara, di proprietà del marchese di Pietraforte, per cercare un'erba, l'erba fenice, capace di produrre l'oro. L'uomo, condotto innanzi al Marchese dalla servitù della villa, dichiarò d'essere un alchimista e di poter dimostrare la realizzabilità della trasmutazione dei metalli. Il Marchese, sedotto dalle parole del pellegrino, gli garantì l'accesso al proprio laboratorio alchemico. L'uomo, dopo aver dimostrato una maestria tale da lasciare attonito il Marchese, chiese ospitalità per la notte in una camera nei pressi del laboratorio, così da poter controllare lo svolgimento del complesso processo alchemico. Promise inoltre che, ad opera ultimata, avrebbe risposto alle domande del Marchese, ma che per il momento avrebbe dovuto garantirgli solitudine e quiete. Il mattino seguente il Marchese Palombara, impaziente di apprendere di più circa lesito dell'esperimento, bussò dapprima alla porta chiusa del laboratorio e successivamente alla porta della stanza affidata all'ospite, senza ottenere alcuna risposta. Il pellegrino era sgattaiolato via da una finestra, lasciando nel laboratorio un crogiolo rovesciato con in terra una striscia doro puro ed un fascicolo di carte con appunti e simboli ermetici sull'esperimento. Sono proprio questi i simboli che il Marchese fece scolpire in alcuni punti della sua villa, fra i quali la famosissima porta alchemica (vedi nella sezione I luoghi della storia). La tradizione vuole che il misterioso alchimista fosse Francesco Borri, e che ai suoi appunti siano ispirate le complesse simbologie della Porta Alchemica.

fonte: www.amp.it.what-this.com


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